martedì 6 dicembre 2011

Una storia d'amore


L’ho conosciuta una sera al pub. Era una di quelle serate in cui i single (e presunti tali) si scambiano bigliettini con il sesso opposto. Perdonate l’uso dei verbi al passato, ma questa che mi appresto a raccontarvi è la storia della mia ultima storia con una ragazza. Passatemi il gioco di parole.
Decisi di scriverle. Le chiesi cosa facesse nella vita. Le chiesi il suo nome. Le chiesi cosa ci facesse qui. Le chiesi perché mi guardava. Mi rispose: sopravvivo. Mi rispose: Maria. Mi rispose: forse, cercavo te. Mi rispose: forse, volevo te.  Non ho mai capito se fosse ironica.
Osservai i miei capelli riflessi nello schermo del cellulare. Mi passai la lingua tra le labbra e con un dito agguantai la saliva per mandare indietro un ciuffo ribelle. Mi alzai, avanzai verso il suo tavolo e le diedi la mano. Stretta forte e decisa. La guardai negli occhi e le sorrisi. Lei fece altrettanto. In quello stesso istante vidi gli occhi degli altri su di me. Tutti mi guardavano e invidiavano il mio coraggio. Avevo appena fatto ciò che loro, magari dopo mesi o forse anni di questi giochini, non erano mai riusciti a fare. Al primo colpo. Ciò che qualcuno definirebbe “la fortuna del principiante”, io la definirei “una serie di variabili andate a incastrarsi alla perfezione”.  Io direi: forse voi non siete belli quanto me. Voi non siete me.
Parlammo per una decina di minuti, poi le dissi che dovevo andare via, non le diedi alcuna spiegazione. Le lasciai un foglio con scritto il mio numero e la mia firma. Le lettere tendevano ad inarcarsi verso l’alto.
Passarono due giorni e mi chiamò. Uscimmo insieme. Non ricordo precisamente quanto parlammo e cosa ci dicemmo. Ricordo solo cosa mi disse la mattina seguente svegliandosi nel mio letto: ‹‹ Il miglior sesso della mia vita! ››.
Cominciammo a frequentarci. 
Inizialmente aveva dei problemi a indossare gonne e scarpe con i tacchi. Le dissi che con una gonna sarebbe stata più elegante. Le dissi che con gli stivali sarebbe stata più femminile. Le comprai 7 completi diversi e 7 paia di scarpe. Nel periodo natalizio andavamo per centri commerciali a comprare regali. A San Valentino, prenotavamo il tavolo del ristorante più costoso nella zona. Ogni occasione era buona per viaggiare. L'importante era poi ricordarsi di mettere le foto su Facebook. Quel periodo la gente ci guardava e ci indicava come modello da seguire. 
La coppia ideale.
Andavamo a cena fuori nei locali più “in”.  Andavamo in tutti i locali frequentanti dai miei colleghi di lavoro. Lei mi parlava di sé. Non ricordo bene cosa dicesse: io guardavo chi c’era nel locale. Quando la guardavo negli occhi e lei mi parlava, io pensavo alle cose che ancora non avevamo fatto. Mentre lei diceva qualcosa tipo:  ‹‹ stamattina al lavoro mi sono arrabbiata con il mio capo ››, io pensavo a come sarebbe stata bene con il mio uccello ficcato in bocca. Mentre diceva qualcosa tipo:  ‹‹ Avevo intenzione di mettere lo smalto nero ››, io pensavo a come starebbe bene il mio uccello su per il suo culo. Quando incontravo i miei colleghi, mi dicevano di quanto fosse bella e, quando accadeva, io ridevo di gusto e provavo piacere; poi elencavo tutti i suoi pregi, non so se li avesse avuti sul serio. Di certo era giovane, e agli altri piaceva.
La sera, prima di fare sesso, eravamo soliti passeggiare in centro. Durante le camminate le tenevo la mano stretta nella mia. Quando lo facevo, lei poggiava delicatamente la sua testa sulla mia spalla. Non ho mai capito perché lo facesse. Non ricordo di averle mai stretto la mano quando eravamo soli. Non avevamo molto in comune, ma gli altri dicevano che era bella; forse lo era anche per me.
In quel periodo mi piacevano le rose rosse. Fu per questo che decisi di regalarle un tatuaggio con una rosa rossa sulla spalla.
Dopo un anno siamo andati a convivere. Le prime volte era lei a fare la spesa. Era solita comprare dolci. ‹‹ Il cioccolato facilita la produzione di endorfina ›› disse una sera, dopo aver comprato due barattoli di Nutella. Quella fu l’ultima volta che comprò del cibo. Nel mio carrello della spesa c’erano prodotti di soia, integratori vari e, al posto della Nutella, la marmellata di marroni.
Non so se avesse mai avuto hobby, ma decisi di iscriverla nella mia palestra. I primi tempi le dissi che i miei orari di lavoro non combaciavano con i suoi e non potevamo andarci insieme. Quel periodo, per non andare con lei, uscivo due ore prima da lavoro. Nessuno in palestra sapeva che fossi il suo fidanzato. I miei addominali erano di ferro, i pettorali sodi e le spalle attiravano gli sguardi delle donne, soprattutto quelle over 40: le più troie. In quel periodo ricordo di essermene scopata una di quelle over 40 con il seno calato, la pancia ingombrante e il culo flaccido; è successo nella toilette della palestra. Quando quella che io e gli altri definivamo “la mia ragazza” tornava a casa stanca dalla palestra, io mi ero già fatto due seghe pensando ai culi flosci e i seni calati delle signore della palestra. Quando lei tornava, nonostante tutto, io ero a letto ancora con l’uccello duro. Scopavamo per un paio d’ore tutte le notti e le dicevo di urlare affinchè i vicini ci sentissero. Quando lei tornava la osservavo mentre si spogliava, per controllare se ci fosse ancora la pancia.
Quando ha sostituito gli addominali al grasso ho deciso di andare in palestra con lei. Quando il suo ventre ingombrante era sparito, ed era la stagione estiva, andavamo tutti i giorni al mare o in piscina.
Quando incontravo i miei colleghi al mare, io stringevo forte la mano alla “mia ragazza”. Quando incontravo i miei colleghi al mare ci facevano i complimenti per il fisico e l'abbronzatura. Quando, con la mano tesa a simulare una ventata, dicevo: ‹‹ Non sono proprio perfetti i nostri corpi ››, l’invidia si insinuava nei loro sguardi. Era a quel punto che la guardavo negli occhi e le dicevo che la amavo. Non so perché, ma ricordo che quando glielo dicevo mi guardava con gli occhi lucidi. Quando lessi su una rivista di moda, un sito internet e vidi al telegiornale che era il periodo delle bionde, le comprai una tinta. Non fu tanto accondiscendente, ma quando le dissi: ‹‹ Ti amo lo stesso! ››, lei andò in bagno e si fece la tinta.
Non ricordo bene quanto tempo passò, ma compresi che il sesso con lei cominciava a stufarmi. Inizialmente ero intenzionato a lasciarla. Fu solo in seguito che capii che il sesso con lei mi aveva stufato perché avevamo fatto tutto. Quando non hai più stimoli perdi le motivazioni. Fu così che cominciai a cercare nuovi stimoli. Comprai libri illustrati di Kamasutra e facevamo sesso 3 volte al giorno: appena svegli, appena tornati dalla palestra e prima di andare a dormire. Durante la pausa pranzo, a lavoro, eravamo soliti parlare di sesso con i colleghi. Fu quando mi resi conto che non avevo fatto nulla che loro non avessero già provato che pensai a un modo per andare oltre. Fu dopo quel giorno che decisi di mettere la foto di lei nel mio ufficio come avevano già fatto tutti gli altri con le loro persone care. Durante le pause guardavo la sua foto e pensavo ad un modo per andare oltre.  Finché lo trovai. E l’unico rammarico fu quello di non potermene vantare con nessuno.
All’inizio lei non la prese bene; anzi, si può dire che dopo aver appurato che non scherzavo, la cosa la fece arrabbiare. Fu quando mi disse: ‹‹ Ma io sono stata tutto questo tempo con un malato di mente! ››, che le diedi uno schiaffo. Lo schiaffo fu molto più violento di quanto in realtà non volessi. Ottenni l’effetto di farla cadere malamente su un mobile e farla svenire. Fu dopo aver appurato che non avesse subìto alcuna conseguenza fisica che decisi di legarla. Dovetti uscire di casa ed andare di corsa in una ferramenta. Comprai una decina di scotch a ciambella di diverse dimensioni. Tornato a casa mi tolsi i pantaloni e provai ognuno degli scotch comprati sul mio uccello in erezione. Fu quando trovai quello che si addicesse esattamente alla mia misura che poggiai lo scotch sulla sua guancia e ne disegnai la sagoma con un pennarello. Lei cominciava a lacrimare. Per evitare che desse fastidio al mio lavoro, la bendai. Dopo aver tracciato con il pennarello due cerchi esatti della stessa grandezza dello scotch, presi un coltello da cucina e cominciai a tagliuzzare all’altezza della guancia fino ad asportarle delicatamente la carne. Per evitare che si muovesse fui costretto a somministrarle del sonnifero. Fu dopo averla medicata che le strappai i molari e i premolari da entrambi i lati. Dopo aver fatto ciò, lei si decise a capirmi. Disse che avrebbe fatto qualunque cose per me, l’importante era che continuassimo a stare insieme. Non avrebbe sopportato di essere lasciata e disse che desiderava un figlio con lo stesso fuoco negli occhi che aveva quando progettavamo di comprare la Mercedes SLK. Quando mi chiedevano dove fosse la mia ragazza, risposi che eravamo in un periodo di pausa e lei era andata via senza dirmi nulla. ‹‹ Che maleducata! ››, dicevano. Forse avevo bisogno di compassione, per questo non dissi di averla lasciata io. Alla mia ragazza andava bene la situazione: qualunque cosa facessi il giorno, la sera tornavo sempre da lei.
La sera in cui tornai dalla palestra e notai che le ferite si erano cicatrizzare, sorrisi in preda all’eccitazione. Mi calai i pantaloni, la presi per i capelli e gli feci vedere il mio cazzo duro. La tenevo per i capelli e glielo infilai attraverso le fessure delle guance, andando avanti e indietro come un ossesso, come i killer della televisione che accoltellano di continuo la propria vittima. Ma questo non potevo raccontarlo ai miei colleghi di lavoro. Non erano abbastanza coraggiosi da andare oltre. 
Conformisti di merda. 
Ora, ogni volta che la penetravo lei sorrideva con gusto: eravamo una coppia felice e tutto il resto non contava.
Fu dopo pochi giorni che mi stancai e decisi di pensare a qualcosa di nuovo. Intanto, comprai uno stereo per la macchina che chiamai “Bobby”. L’ultimo modello della Sony. Il mio Bobby. Accadde proprio mentre ascoltai una canzone da Bobby, “psycho killer” dei Talking Heads, che mi venne in mente un modo per andare oltre. 
Tornai nella ferramenta e comprai un trapano. Quando fui a casa, dissi ai miei vicini che avrei fatto un po’ di rumore perché stavo facendo alcuni lavori. 
Quando mi chiesero che fine avesse fatto la mia fidanzata, risposi che non ne avevo idea. 
Incomprensioni. 
Le persone spariscono.
Le trapanai le ossa del naso fino a ridurlo a una sola, enorme, narice sanguinolenta. Non ero sicuro che ciò non comportasse conseguenze sul suo fisico: non ho mai studiato medicina. Lei mi disse che non voleva anestetici o sonniferi perché il dolore provocato da me le sarebbe piaciuto, ma sapevo che non avrebbe resistito e glielo somministrai ugualmente.
Quando nei giorni seguenti il naso smise di sanguinare, mi sbottonai i pantaloni Calvin Klein, tirai giù i boxer di Valentino e le infilai il cazzo su per il naso sovrastando, con la mia,  la voce di David Byrne in sottofondo, “Psycho Killer, Qu'est-ce que c'est”. Non so se fosse ancora viva, so soltanto che dopo una decina di minuti depositai la mia roba bianca su per la sua narice. Prima di andare a dormire la guardavo mentre le gocciolava la mia sborra dal naso. 
Se Gericault l’avesse vista, avrebbe trovato l’ispirazione per un quadro. 
Fu proprio questo pensiero che mi fece venire un’idea geniale: riprendere con la telecamera mentre le ficcavo l’uccello su per il naso e mentre glielo sbattevo fuori dalle guance, con i denti rotti e ingialliti che le erano rimasti. Le misi una maschera per far sì che nessuno la riconoscesse; e di me, beh, si poteva scorgere solo l’uccello. Ci misi un po’ per trovare i giusti canali, ma alla fine guadagnai molti soldi. Dopo un mese cominciava a puzzare, non sapevo più cos’altro farle. Non ricordavo nemmeno come si chiamasse. 
Quando, a questo punto, mi chiedevano della “mia ragazza”, rispondevo: ‹‹ È nel mio salotto, sto pensando a come far sparire il suo corpo ››; dopo un iniziale imbarazzo, tutti ridevano accondiscendenti, inneggiando al mio sprezzante senso dell’umorismo.  Ora che ci eravamo lasciati, alcuni dei miei colleghi mi chiesero il numero di quella che era ufficialmente la mia "ex ragazza".
Andai nuovamente nella ferramenta e comprai una motosega. Mi sentivo come in quel film horror degli anni 70, dove c’è quel tizio che fa paura a tutti con la motosega. Tagliai ogni parte del suo corpo, e ogni giorno mettevo un pezzo nella busta dell’immondizia. Se devo essere sincero, non ho mai saputo in quale parte della raccolta differenziata andasse messa.
Dopo un paio di mesi che i miei colleghi non mi vedevano più alle varie cene nei locali, sembrava quasi che mi salutassero a mezza bocca, o almeno questa era la mia impressione. Non avevo una ragazza da un po’ ed ero costretto ad inventarmi avventure sessuali con donne avvenenti, rapporti a tre con donne bisessuali e sesso sfrenato in luoghi pubblici con ragazze appena maggiorenni. Nei centri commerciali non è la stessa cosa andare soli.  Avete mai visto un single all'Ikea?
Mi sentivo emarginato. 
Fu per questo che tornai nello stesso locale in cui conobbi quella che sarà la mia futura ragazza. Al tavolo 7 c’è una  ragazza alta, riccia e mora che mi guarda. Mi alzo e vado verso di lei pensando a come starebbe bene il mio uccello nelle sue fessure vuote dove ora ci sono gli occhi verdi ed intensi. 
Sono di nuovo dentro. Mi sento vivo.