domenica 1 aprile 2012

Lo strano attrattore

 Ispirato a una storia falsa.

Prologo
Due rette distinte possono avere un punto d'incontro. Ma cosa succede se sono parallele? E cosa accade se misuriamo l'evoluzione di un attrattore strano? Infine, come si coniugano con il principio di indeterminazione di Heisenberg?

Il mio diario su Tumblr, 15/05/2012
Quando si parla di suicidio si dicono sempre le stesse banalità: "È successo all’improvviso; una cara persona; non pensavo avesse dei problemi; era sensibile; ci mancherà". Come se chi non avesse queste pulsioni non abbia problemi. Che poi, io, fondamentalmente, non è che abbia tutti questi gravi problemi. Mi sono semplicemente rotto il cazzo. Ho perso tutto o forse non ho mai avuto niente.
Ed eccoci qui, finalmente, sul ponte dei suicidi. Il luogo è deserto come immaginavo; dopo qualche minuto arriva una ragazza che scrive su un foglio. Fumo un’ultima sigaretta, in attesa che se ne vada, e dopo lo farò. Cosa cazzo avrà da scrivere alle 3 di notte?! Le nubi avvolgono la città e la luna è pallida, quasi a scusarsi di starsene lì a guardarci dall’alto in basso.
Finisce di scrivere e getta la penna nell’acqua, sale sul muretto e allarga le braccia. Butto in fretta la sigaretta e corro verso di lei urlando: ‹‹ Hey, non farlo! ››. Lei si volta verso di me, sorride, e dice: ‹‹ Shh... non urlare, c’è gente che dorme ››. Mi fermo a un metro da lei e faccio: ‹‹ Aspetta, parliamone ››, ‹‹ Se vuoi farmi cambiare idea, ti avverto che stai perdendo tempo ›› risponde caustica la ragazza. ‹‹ Ok, va bene; ma dimmi il motivo o comincio ad urlare! ›› la esorto con tono minaccioso.
La donna guarda avanti a sé e sussurra: ‹‹ A causa del vuoto… lo vedo ovunque. Tu hai paura del vuoto? ››
‹‹ Non è il vuoto che mi spaventa ›› dico, ‹‹ Ma quanto io non sia in grado di reagire a esso. ››
‹‹ Cioè? ››
‹‹ Una volta dissi a una ragazza che se mi avesse lasciato non avrei sopportato se si fosse data a storie di poco conto e lei mi accarezzò la guancia. A distanza di tempo sono io che ho cominciato a buttarmi in queste storie. ››
‹‹ Perché mi racconti questo? Cosa c’entra? ››
‹‹ Perché in realtà non facevo altro che colmare il vuoto con il vuoto. Facevo sesso con le altre donne, ma il mio cervello non era lì con me, il mio cuore nemmeno. ››
‹‹ E’ molto triste… ››
‹‹ E soprattutto è la prima volta che lo dico a qualcuno. Sai, forse non dovrei dirtelo, ma ero venuto qui per fare la stessa cosa che stai facendo tu, ma non voglio che tu lo faccia. ››
‹‹ A condizioni inverse ti lascerei fare: la libertà è la cosa più importante. ››
‹‹ Non ci credo. ››
‹‹ Come fai a dire così se nemmeno mi conosci?! ››
‹‹ Siamo qui per lo stesso scopo e le stesse motivazioni: forse ti conosco meglio di quanto tu creda. ››
La ragazza si gira verso di me e dice: ‹‹ Allora ammazzati, fallo! ››
‹‹ Se lo faccio poi tu farai la stessa cosa e… non voglio. ››
‹‹ Che ti importa di me? Nemmeno sai chi sono! ››
‹‹ Mi sentirei in colpa. ››
‹‹ Per cosa? Per aver rispettato le mie ultime volontà? ››
Salgo anch’io sul muro e guardo avanti a me. ‹‹ Se mi buttassi ora, tu non proveresti alcun rimorso per non avermi fermato? ››
‹‹ No. ››
‹‹ Allora mi butto, e non avrò rimpianti né rimorsi. Cerca soltanto di non lanciarti sopra il mio cadavere: sarebbe poco educato. ››
La ragazza comincia a ridere, prima piano, e poi sempre più forte coprendosi le labbra con la mano e scende dal muro. Mi viene incontro e mi porge la mano, ‹‹ Vieni giù ››, sussurra. La guardo sorridendo a mezza bocca e prendo la sua mano, facendo un salto per terra. Lei strappa il foglio che aveva. ‹‹ Hai una serata per convincermi a non essere di nuovo qui, domani ››, dice sorridendo.
Siamo dentro una casa abbandonata, ho comprato del thè.
‹‹ Fuori piove ››, dico per abbozzare una conversazione.
‹‹ Dentro pure ›› risponde lei.
‹‹ Cosa c’era scritto nel tuo biglietto? ››
‹‹ Nulla di importante. ››
‹‹ Non vuoi dirmelo? ››
‹‹ Non pensi di essere indisponente? ››
‹‹ Hai mai viaggiato? ››
‹‹ No, purtroppo. ››
‹‹ Non ne hai mai avuto occasione? ››
‹‹ Non con chi volevo io. ››
‹‹ È solo questo il motivo? ››
‹‹ E ti pare poco? Se stai con le persone che conosci non sei te stesso. Se ti trovi in mezzo a sconosciuti, solo lì, sei davvero te stesso. ››
‹‹ Allora viaggia sola! ››
‹‹ Vorrei andarci con una persona che mi conosca perfettamente. ››
‹‹ E chi sarebbe? ››
‹‹ Non c’è. ››
Arriva sgomitando il crepuscolo mattutino. La notte è passata tra intense conversazioni e bicchieri di thè. La ragazza mi ha chiesto se avessi una casa mia, le ho risposto che non vivevo solo. E quando le ho chiesto il nome, lei si è girata dicendo: ‹‹ Oggi mi chiamo Marlène ››.

Il mio diario su Tumblr, 16/05/2012
Sapete qual è il colmo per un giornalista agorafobico? Assistere a una conferenza stampa. 
Se ieri fossi morto, oggi non sarei qui. Comincio a pentirmi di non averlo fatto. Guadagno 3 euro ad articolo e, se mi va bene, ci compro qualche libro a fine mese. Sudore, agitazione, ansia. La gamba si muove da sola e gli occhi sono rivolti verso il basso. Ho la sensazione di guardarmi dall’esterno. Anche dall’esterno fatico a guardarmi negli occhi. La gamba trema. 
Sapete qual è il colmo per un giornalista afefobico? Fare sesso.
Qualcuno mi guarda, lo so. Qualcuno mi giudica, lo so. 
Pensieri felici. Pensieri felici. 
Io non sono qui. 
Sono altrove. 
Sono al mare. C'è il sole. Sono solo. Il mondo non esiste.
Non funziona.
Sono un quadro. 
Sono un paesaggio impressionista. 
Sapete qual è il colmo per un giornalista affetto da iperidrosi? Stringere la mano a tutti.
Sono una serie di colori indefiniti. 
Sono un colore nero. 
Nero sfumato. 
Grigio.
Prendo appunti. Sono l’unico a non esser travestito: non ho giacca, non ho cravatta, non ho pantaloni eleganti, non ho scarpe sgargianti. Sono l’unico qui dentro a non essere il suo ruolo. Non dico frasi di circostanza, non ringrazio nessuno, non difendo l’operato di nessuno, non pubblicizzo nessuno. 
Sfumo nel nero. 
Prendo appunti, poi disegno sul foglio. 
La conferenza finisce ed io sparisco. 
Apro la porta e mi infilo in un buco nero, entrando a fatica.
Colloquio di lavoro. Mi presento in sala d’attesa e sono l’unico che non ha la giacca, non ha la cravatta e non è vestito elegante. Nel reality show “la sala d’attesa” sono tutti talmente uguali che fatico a distinguere i loro volti. Ogni tanto esce una segretaria dalla porta e qualcuno di noi sparisce. Ogni volta che la segretaria dice il cognome di qualcuno, lui sparisce dal gioco. Arriva il mio turno. 
Sparisco anche io oltre la porta.
Entro nella stanza, la segretaria finge l’ennesimo sorriso della giornata e mi siedo davanti un travestito che parla con qualcuno, o forse con nessuno, attraverso il microfono collegato con l’auricolare. Mi fa cenno di sedermi. La telefonata finisce e il colloquio comincia. Questa è la parte del reality definita come “la prova”, perlomeno è così che mi disse lo sceneggiatore. Il direttore della fotografia ha scelto colori sfocati, stile anni '70, con contrasti.
‹‹ Ma lei ha i jeans?! ››
‹‹ A casa ho anche una tuta. ››
‹‹ Ai colloqui ci si veste elegante, non gliel’hanno insegnato? ››
‹‹ Non sarei elegante con una giacca; non ho nulla contro i travestiti ma io non lo farei, ecco. ››
‹‹ Scusi non ho capito, si spieghi meglio. ››
Mi guardo intorno e allungo il collo verso il travestito e sussurro: ‹‹ Qui siete tutti travestiti, ma io non ho nulla in contrario, solo gradirei rimanere come sono, voi siete… tutti uguali, ecco. ››
‹‹ Per favore, lasci questo ufficio. ››
La prova è finita, l’esito lo saprò prossimamente, dopo la pubblicità, presumo. Televoto.

La giornata scorre lentamente. Il mio cervello e i miei gesti sono fuori sincrono con le altre persone. Parlando con il regista, mi ha raccontato che il produttore si sarebbe lamentato degli eccessivi dialoghi, dice che lascio poco spazio all’immaginazione. Gli ho risposto che non parlo molto e l’accusa mi sembra un po’ stupida e infondata, ma il regista fa spallucce. Sto per dirgli che nessuno si sogna di fare critiche del genere a Tarantino, quando dal megafono esce fuori la parola ‹‹ azione ›› e scende la sera. Nel copione c’era scritto che dovevo tornare al ponte dei suicidi per vedere se la ragazza fosse di nuovo lì, in realtà non mi interessava molto, ma non mi andava di discutere con la produzione.
Sono le 3 di notte e non c’è nessuno. Guardo giù dal ponte, ma non vedo corpi spiaccicati né sangue. Accendo una sigaretta e aspetto. Non ditelo al regista, ma a me non piace fumare, ha detto che la sigaretta è un simbolo di ribellione e il protagonista doveva fumare per forza. Io nemmeno lo volevo il ruolo da protagonista, ma i miei genitori non hanno voluto sentire discussioni. Nel cielo le stelle cominciano a sparire e la luna brilla sfarzosa ed egoista.
‹‹ Ti suicidi anche stasera? ››, dice la ragazza spuntando all’improvviso dal nulla, forse coperta dalla scenografia.
‹‹ No, speravo lo facessi tu, Marlène ›› rispondo buttando fuori il fumo.
‹‹ Ieri ero Marlène, oggi sono Penny Lane; e tu, chi sei oggi? ››
‹‹ Lo stesso di ieri. ››
‹‹ Hai costanza, vedo. ››
‹‹ Ci provo. ››
(applausi)
Propongo di andare a berci qualcosa e Penny Lane accetta. Entriamo in un pub e lei ordina per entrambi un Gin e Lemon, io dico che non mi piace e lei risponde che non l’ho mai assaporato veramente per poterlo dire.
‹‹ Fuori è nuvoloso. ››
‹‹ Anche dentro ›› dico guardando davanti a me. Faccio una pausa.
‹‹ Come sei stata oggi? ››
‹‹ Da Dio. ››
‹‹ E cosa ti ha detto? ›› incalzo.
‹‹ Chi? ››
‹‹ Dio. ››
‹‹ Niente, si è congratulato per il mio comportamento, ma non ha elogiato la mia curiosità. ››
‹‹ Non ti facevo curiosa. ››
‹‹ E come mi fai? ››
Pausa. ‹‹ Bizzarra. ››
‹‹ Credi in Dio? ››
‹‹ È lui che non crede in me. ››
(Aggiungi ai preferiti)
Il regista mi fa cenno che sto esagerando con i dialoghi e la smetto con le domande. Mentre Penny parla, la osservo. La pelle delle braccia è perfetta, le mani sono piccole e delicate, il suo naso è ben delineato, così come i denti, e le labbra sono carnose. Ha un piercing sul labbro. Ma questa non è lei, è solo come la vedo io. Mentre parla, si manda i capelli dietro le spalle perché le danno fastidio. Quando si esprime non incrocia mai i miei occhi. Ha una strana cicatrice sul braccio, ma non le chiedo niente. La ascolto soltanto, e osservo divertito la sua espressione modificarsi per ogni stato d’animo che la accompagna. In sottofondo parte una colonna sonora che non riesco a distinguere. Sembrano violini. Guardo il regista per fargli capire che è abbastanza scontato, ma lui alza le spalle.
Questa volta paga lei e, quando arriva il crepuscolo, va via salutandomi così: ‹‹ Al prossimo suicidio ››.

Il mio diario su Tumblr, 17/05/2012
Mi sveglio tardi. Oggi mi aspetta la palestra. Al casting mi dissero che la pancia era fuori luogo per il protagonista. Di questo ne ho parlato con il regista, dissi che alcune donne la adorano perché è simbolo di potere, ma il regista ha risposto che se Dio avesse avuto la pancia nessuno lo avrebbe adorato. Questa frase non mi è nuova, ne sono certo. Dopo la palestra mi attende una lampada, devo farla per contratto. Il pomeriggio lo passo scrivendo l’articolo sulla conferenza stampa di ieri e lo invio in redazione. Non so nemmeno se esista una redazione: non ci sono mai stato; poi ho un colloquio in una fabbrica che produce pneumatici. Mi presento con il cappello e la barba incolta, ma qui nessuno dice niente, i loro sguardi parlano da soli. Così mi tolgo il cappello e faccio il ventriloquo.
‹‹ Salve, io sono signor Cappello, “Ello” per gli amici. ››
‹‹ Mi perdoni, scusi? ››
‹‹ Perché mi guarda male? Cos’ha contro di me? Sono più intelligente di una cravatta, glielo assicuro. ››
Dopo la pubblicità, mi ritrovo a camminare per le strade del centro chiedendomi cosa stia facendo Penny Lane in questo momento. Non ho nulla da fare, così parlo con chi si occupa del montaggio e dico di tagliare tutto fino alla sera. ‹‹ I giornalieri se li fa il regista ››, dice la voce fuori campo.
Non so se sia il caso di andare di nuovo al ponte dei suicidi: ho paura che se Penny Lane non ci sia non abbia interesse nei miei confronti ed ho paura che se ci fosse potrebbe entrare nel mio cervello e incatenarsi. Ma, in fin dei conti, cosa c’è di peggio del nulla? La sofferenza potrebbe essere tanto peggiore dell'atarassia? O sono davvero così codardo? E se pensasse che voglio vederla tutte le sere? Dovrei tenerla sulle spine? Dovrei rinunciare ad essere me stesso?
Ho deciso di andare. 
La luna ride di me e l'asfalto è un gigante appisolato che abbraccia le case. Chi ha scritto il plot ha detto che è la soluzione migliore perché lei è ancora fragile; e poi il responsabile del casting ha detto che il budget era ristretto: non potevano permettersi troppi attori. Lo sceneggiatore aveva ragione. La ragazza arriva, sempre vestita di nero, e mi prende sottobraccio senza salutarmi.
‹‹ Mi aspettavi? ›› Comincia lei.
‹‹ Volevo buttarmi. ››
‹‹ Tu non hai mai avuto intenzione di farlo. ››
‹‹ Non è vero! ››
‹‹ Tu fai tante domande e speri di non essere mai l’argomento di una discussione. Hai pochi amici e fai fatica a mantenere i rapporti. Non sei innamorato da chissà quanto tempo e hai smesso di credere nelle persone, ma non sei superiore a loro ››.
Io non rispondo, metto le mani in tasca e guardo per terra. Percepisco che sta osservando i miei movimenti.
‹‹ Dove andiamo stasera? ››
‹‹ Hai mai visto il Colosseo di notte? ››
(applausi)
La maestosità del Colosseo non riesce a catturare la mia attenzione quanto non faccia questa stronza. Nel copione c’è scritto che devo andarci piano o non risulta credibile, ma non riesco a togliermi dalla testa la mitopoiesi di lei che mi sono creato. La pianto lì, nel bel mezzo della conversazione con una scusa banale, il regista è incredulo ma non mi ferma, anzi mi dice che ho avuto un’idea geniale. ‹‹ Colpo di scena ››, esclama qualcuno dal set.

Ritaglio de “Il corriere della sera”, 19/09/2012
[...] ‹‹ La donna che mi ha rubato l’ironia! ››, queste testuali parole sono state riportate dall’avvocato De Luca quando il ragazzo entrò nel suo ufficio. De Luca ricorda bene l’accaduto e ce lo racconta così: ‹‹ Non ricordo il giorno preciso, ma una mattina entrò questo ragazzo e disse di voler intentare causa per furto. Rispondo che non ci sono problemi, lo faccio accomodare e gli chiedo di espormi la sua storia. Lui, lo ricordo come fosse ieri, mette i gomiti sulla scrivania e incrocia le mani. Disse che voleva denunciare una persona per furto d’ironia. Dopo aver sentito questa frase la mia espressione deve essergli risultata strana, tant’è che, lo ricordo come fosse ieri, il ragazzo mi indica con fare accusatorio e dice che ho stropicciato il labbro. Lui, mi spiegò, stropicciava il labbro quando non era convinto di una cosa. Provai a rimanere serio e non contraddirlo: è pieno di matti al giorno d’oggi e chissà cosa avrebbe potuto fare. Ho cercato di farlo desistere dicendogli che sarebbe impossibile intentare una causa simile, e che non c'erano prove materiali. Lui rispose di chiedere a tutti i suoi conoscenti e di farsi raccontare che, in effetti, aveva smesso di sorridere. L’ironia, mi spiegò, è la cosa più preziosa che avesse, ed ora lei gliel’aveva portata via [...]




Il mio diario su Tumblr, 18/05/2012
Mi sveglio presto. Prima di tutto devo pisciare. Faccio cenno al regista di tagliare. Con gli occhi stanchi apro la porta del bagno e vedo una persona di spalle con il giubbotto di pelle e i jeans.
‹‹ Chiccazzo sei tu? ››, dico spaventato.
Lui non si gira e accende una sigaretta: ‹‹ Tutti mi conoscono, pivello ››.
‹‹ E chi sei? Che ci fai qui? ››, insisto.
‹‹ Questo, per la cronaca, è il mio ufficio ››, risponde lui.
Il tizio si gira e si presenta: ‹‹ Arthur Fonzarelli, per tutti Fonzie ››.
‹‹ E che vuoi da me? ››
‹‹ Cerco di darti una mano, siediti. ››
‹‹ Sulla tazza? ››
‹‹ Certo. ››
‹‹ Ieri sera hai sbagliato ad andartene. ››
‹‹ È stata una scelta istintiva. ››
‹‹ Non è vero. Non era istinto quello. ››
‹‹ E cos’era? ››
‹‹ Paura. ››
‹‹ Senti, ma a me Cunningham stava proprio sui coglioni, tu come facevi a… ››
Fonzie mi afferra per il braccio e mi tira su guardandomi negli occhi; poi dice: ‹‹ Fottitene della paura. Il rimpianto è peggio del rimorso. Stasera alzi il culo e torni lì! ››.
Ore 3 di notte, ponte dei suicidi. Penny Lane ancora non arriva. Forse è incazzata con me. Nell’attesa si avvicina l’addetto stampa e mi chiede di fare alcune dichiarazioni.
‹‹ Com’è il tuo umore? ››
‹‹ Sereno con rapide foschie improvvise. ››
‹‹ Stato civile? ››
‹‹ Divorziato dalla nascita. ››
‹‹ Nazionalità? ››
‹‹ Apolide. ››
‹‹ Segni particolari? ››
‹‹ Cinque dita per mano. ››
‹‹ Dimmi qualcosa che ti è andato bene, tipo un esame andato bene, un fidanzamento o cose simili. ››
‹‹ Ho preso 28 ad un esame. ››
‹‹ Ottimo, questo lo mettiamo come titolo del post. Metto anche che ti vedi con qualcuna, qualche foto. Parlami delle tue passioni, ora. ››
‹‹ Passioni? Senti, comincia a stufarmi questa cosa. ››
‹‹ Le persone vogliono sapere. ››
‹‹ C – H – I – S – S – E – N – E – F – R – E – G – A.  ››
Sono nervoso e, dopo aver mandato via l’addetto stampa, tamburello con le dita sul muretto. Mi preparo al piano sequenza.
‹‹ Chi sei oggi? ›› mi grida Penny spuntando all’improvviso, come sempre.
‹‹ Non lo so. ››
‹‹ Hai perso le tue certezze? ››
‹‹ Non ne ho mai avute. E tu, chi sei oggi? ››
‹‹ Oggi sono Bauci. Per questa sera vuoi essere il mio Filemone? ››
‹‹ Senti, questa storia mi ha annoiato. Parliamo seriamente? ›› dico con sdegno.
‹‹ Se volevi scoparmi, potevi dirlo subito ›› fa seria lei, guardandomi negli occhi e con le braccia incrociate.
‹‹ Perché, avresti accettato? ››
‹‹ Scopami, che aspetti! ›› mi invita.
Io mi avvicino a lei, ma la ragazza ride e si sposta. ‹‹ Ci hai creduto eh, su non fare quella faccia, per chi mi hai preso? ››
Penso “per una stronza”, ma dico: ‹‹ Sono un uomo e tu sei una donna, chiunque avrebbe accettato. Comunque non volevo dire questo ››.
‹‹ E cosa volevi dire? ›› campo.
‹‹ Non importa. ›› controcampo.
‹‹ Dove mi porti stasera? ›› mi esorta lei.
‹‹ All’inferno. ››
La porto in un giardinetto e parliamo per ore. Lei ha le gambe incrociate sulla panchina e, nonostante sia notte, indossa gli occhiali da sole. Ormai è entrata. Si è incatenata dentro di me. Sono fottuto.
‹‹ Senti, facciamo sesso? ›› Questa volta sono serio. Spero che dopo averlo fatto sparisca l’aura magica di lei che si è creata nella mia testa.
‹‹ Sono una signora, ti pare questo il modo di proporre certe cose? Sei ineducato e rozzo. ››
‹‹ Oh, mi scusi signora principessa del mio cazzo. ››
‹‹ A proposito di cazzo, tiratelo fuori! ››
‹‹ No, stavolta non ci casco. ››
Quando dico così, lei si avvicina con fare deciso e mi tira su la camicia. Mi sbottona la cinta guardandomi fissa negli occhi. Mi dà un bacio sulla guancia e assume un’espressione maliziosa. Sono sicuro che le piaccia sapere che io non aspettassi altro, e ora lei ha potere su di me. 
Può farmi godere se lo vuole, può farmi star male, può fare ciò che vuole. 
Tira giù la cerniera e infila una mano dentro i miei jeans. Tasta il mio uccello duro tramite i boxer e poi infila sinuosa la mano all'interno. Sente quanto sono bagnato. La prendo per il polso e la sposto delicatamente. Le dico che scherzavo e che non mi interessa fare sesso con lei. Chiudo la cerniera e vado via. Lei rimane lì, incredula, con la mano bagnata. Io vado via, godendo. Non un piacere fisico, ma un piacere mentale: pensava di avere potere su di me e adesso è lei la schiava, è lei che mi vuole. Sono sicuro che domani sarà ancora più decisa nel suo intento di conquistarmi. Rimane lì a guardarmi le spalle mentre vado via. Si lecca la mano.
A casa sono costretto a farmi una sega, ma questo lo avevo messo in preventivo.

Il mio diario, 19/05/2012
La sera seguente lei è lì. Ha portato un gatto. Dice che non ha un nome: darglielo non sarebbe stato giusto. Le chiedo come lo chiama e lei risponde che, semplicemente, non lo chiama.
Stanotte la luna sorride. Ci guardiamo negli occhi e ci prendiamo per mano, senza dirci nulla. Abbiamo finito di duellare. I nostri volti sono rilassati. Io sono lei e lei è me. Siamo uno. 
Mi piace.

Epilogo
Se a incontrarsi sono due rette parallele, il punto d'incrocio è situato all'infinito. 
Nel caso di attrattore strano, le due linee hanno solo fugaci punti di incontro. Si inseguono costantemente senza raggiungersi mai. Esso serve per descrivere l'evoluzione del moto in un sistema dinamico.
In meccanica quantistica, il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg implica l'impossibilità per un singolo osservatore di misurare simultaneamente due grandezze posizione e velocità di una particella elementare. Questo avviene poiché l'osservatore influenza il comportamento dei corpuscoli. L'unico modo per farlo è quello di calcolare un margine di indeterminazione sulla prima grandezza, che aumenta quanto più decresce l'incertezza sulla seconda. 
In filosofia, l'indeterminazione sottolinea l'assoluta influenza del caso nella connessione degli eventi reali, chiamando in causa il principio di probabilità. Se l'individuo ha bisogno di cercare un significato nelle proprie azioni e negli eventi, oppure vuole conoscere per intero fenomeni in cui egli stesso contribuisce alla loro modificazione, questo concetto stronca ogni nostra illusione e speranza.


Servizio de il “Tg1”, 18/09/2012
Ragazzo si butta da un ponte. La causa del suicidio non è stata ancora accertata, ma si sospetta sia un suicidio d’amore. Coglione. Aveva tutta una vita davanti. Eh sì, la vita è dura. Un corpo esanime è stato trovato stanotte e il sangue è schizzato per dieci metri. Nell’impatto con il terreno gli è saltato via l’occhio destro che è poi stato schiacciato dalle ruote di una macchina. Parte delle ossa sono uscite prepotentemente fuori dal corpo ricoperto di sangue, raggrumato e annerito. Piscio, sangue e merda si sono mischiate fra di loro. Puzza. Sembra un grosso insetto spiaccicato sul terreno. Nei suoi jeans è stato trovato un biglietto sul quale non c’era scritto nulla. Sul muro dove si è buttato ha lasciato l'ipod, in loop c'era "Love will tear us apart" dei Joy Division. Forse il ragazzo ha pianto. Sapere che ha sofferto ci conforta. Era un giornalista precario che non socializzava: non accettava mai i caffè dai politici che intervistava. Fra 5 minuti avremo il servizio sui parenti e si spera le loro lacrime. I suoi conoscenti da noi intervistati hanno detto le seguenti parole: "Era un ragazzo un po' strano; non salutava mai; si vedeva che aveva problemi; abbiamo parlato solo una volta e mi raccontava dei sistemi dinamici; secondo me era gay; non l'ho mai visto sorridere; se ne shteva sempre solo chijo, ajo parco, a leggere; i suoi genitori pensavano volesse ucciderli; sapevamo sarebbe finita così; è stato un bene per tutti". Quando è stato ritrovato il corpo, c’è stato un minuto di applausi da parte del cast. Ognuno ha portato via una parte del ragazzo. Di lui rimarrà un profilo Facebook dal quale mostreremo foto e pensieri, con una toccante musica di sottofondo. Una donna ha reclamato il teschio di quello che ha definito "Il mio attrattore strano, la mia convergenza parallela", tramite una misteriosa telefonata al commissariato. Vi terremo aggiornati.
Colonna sonora. Titoli di coda. Si sfuma nel nero.

martedì 6 dicembre 2011

Una storia d'amore


L’ho conosciuta una sera al pub. Era una di quelle serate in cui i single (e presunti tali) si scambiano bigliettini con il sesso opposto. Perdonate l’uso dei verbi al passato, ma questa che mi appresto a raccontarvi è la storia della mia ultima storia con una ragazza. Passatemi il gioco di parole.
Decisi di scriverle. Le chiesi cosa facesse nella vita. Le chiesi il suo nome. Le chiesi cosa ci facesse qui. Le chiesi perché mi guardava. Mi rispose: sopravvivo. Mi rispose: Maria. Mi rispose: forse, cercavo te. Mi rispose: forse, volevo te.  Non ho mai capito se fosse ironica.
Osservai i miei capelli riflessi nello schermo del cellulare. Mi passai la lingua tra le labbra e con un dito agguantai la saliva per mandare indietro un ciuffo ribelle. Mi alzai, avanzai verso il suo tavolo e le diedi la mano. Stretta forte e decisa. La guardai negli occhi e le sorrisi. Lei fece altrettanto. In quello stesso istante vidi gli occhi degli altri su di me. Tutti mi guardavano e invidiavano il mio coraggio. Avevo appena fatto ciò che loro, magari dopo mesi o forse anni di questi giochini, non erano mai riusciti a fare. Al primo colpo. Ciò che qualcuno definirebbe “la fortuna del principiante”, io la definirei “una serie di variabili andate a incastrarsi alla perfezione”.  Io direi: forse voi non siete belli quanto me. Voi non siete me.
Parlammo per una decina di minuti, poi le dissi che dovevo andare via, non le diedi alcuna spiegazione. Le lasciai un foglio con scritto il mio numero e la mia firma. Le lettere tendevano ad inarcarsi verso l’alto.
Passarono due giorni e mi chiamò. Uscimmo insieme. Non ricordo precisamente quanto parlammo e cosa ci dicemmo. Ricordo solo cosa mi disse la mattina seguente svegliandosi nel mio letto: ‹‹ Il miglior sesso della mia vita! ››.
Cominciammo a frequentarci. 
Inizialmente aveva dei problemi a indossare gonne e scarpe con i tacchi. Le dissi che con una gonna sarebbe stata più elegante. Le dissi che con gli stivali sarebbe stata più femminile. Le comprai 7 completi diversi e 7 paia di scarpe. Nel periodo natalizio andavamo per centri commerciali a comprare regali. A San Valentino, prenotavamo il tavolo del ristorante più costoso nella zona. Ogni occasione era buona per viaggiare. L'importante era poi ricordarsi di mettere le foto su Facebook. Quel periodo la gente ci guardava e ci indicava come modello da seguire. 
La coppia ideale.
Andavamo a cena fuori nei locali più “in”.  Andavamo in tutti i locali frequentanti dai miei colleghi di lavoro. Lei mi parlava di sé. Non ricordo bene cosa dicesse: io guardavo chi c’era nel locale. Quando la guardavo negli occhi e lei mi parlava, io pensavo alle cose che ancora non avevamo fatto. Mentre lei diceva qualcosa tipo:  ‹‹ stamattina al lavoro mi sono arrabbiata con il mio capo ››, io pensavo a come sarebbe stata bene con il mio uccello ficcato in bocca. Mentre diceva qualcosa tipo:  ‹‹ Avevo intenzione di mettere lo smalto nero ››, io pensavo a come starebbe bene il mio uccello su per il suo culo. Quando incontravo i miei colleghi, mi dicevano di quanto fosse bella e, quando accadeva, io ridevo di gusto e provavo piacere; poi elencavo tutti i suoi pregi, non so se li avesse avuti sul serio. Di certo era giovane, e agli altri piaceva.
La sera, prima di fare sesso, eravamo soliti passeggiare in centro. Durante le camminate le tenevo la mano stretta nella mia. Quando lo facevo, lei poggiava delicatamente la sua testa sulla mia spalla. Non ho mai capito perché lo facesse. Non ricordo di averle mai stretto la mano quando eravamo soli. Non avevamo molto in comune, ma gli altri dicevano che era bella; forse lo era anche per me.
In quel periodo mi piacevano le rose rosse. Fu per questo che decisi di regalarle un tatuaggio con una rosa rossa sulla spalla.
Dopo un anno siamo andati a convivere. Le prime volte era lei a fare la spesa. Era solita comprare dolci. ‹‹ Il cioccolato facilita la produzione di endorfina ›› disse una sera, dopo aver comprato due barattoli di Nutella. Quella fu l’ultima volta che comprò del cibo. Nel mio carrello della spesa c’erano prodotti di soia, integratori vari e, al posto della Nutella, la marmellata di marroni.
Non so se avesse mai avuto hobby, ma decisi di iscriverla nella mia palestra. I primi tempi le dissi che i miei orari di lavoro non combaciavano con i suoi e non potevamo andarci insieme. Quel periodo, per non andare con lei, uscivo due ore prima da lavoro. Nessuno in palestra sapeva che fossi il suo fidanzato. I miei addominali erano di ferro, i pettorali sodi e le spalle attiravano gli sguardi delle donne, soprattutto quelle over 40: le più troie. In quel periodo ricordo di essermene scopata una di quelle over 40 con il seno calato, la pancia ingombrante e il culo flaccido; è successo nella toilette della palestra. Quando quella che io e gli altri definivamo “la mia ragazza” tornava a casa stanca dalla palestra, io mi ero già fatto due seghe pensando ai culi flosci e i seni calati delle signore della palestra. Quando lei tornava, nonostante tutto, io ero a letto ancora con l’uccello duro. Scopavamo per un paio d’ore tutte le notti e le dicevo di urlare affinchè i vicini ci sentissero. Quando lei tornava la osservavo mentre si spogliava, per controllare se ci fosse ancora la pancia.
Quando ha sostituito gli addominali al grasso ho deciso di andare in palestra con lei. Quando il suo ventre ingombrante era sparito, ed era la stagione estiva, andavamo tutti i giorni al mare o in piscina.
Quando incontravo i miei colleghi al mare, io stringevo forte la mano alla “mia ragazza”. Quando incontravo i miei colleghi al mare ci facevano i complimenti per il fisico e l'abbronzatura. Quando, con la mano tesa a simulare una ventata, dicevo: ‹‹ Non sono proprio perfetti i nostri corpi ››, l’invidia si insinuava nei loro sguardi. Era a quel punto che la guardavo negli occhi e le dicevo che la amavo. Non so perché, ma ricordo che quando glielo dicevo mi guardava con gli occhi lucidi. Quando lessi su una rivista di moda, un sito internet e vidi al telegiornale che era il periodo delle bionde, le comprai una tinta. Non fu tanto accondiscendente, ma quando le dissi: ‹‹ Ti amo lo stesso! ››, lei andò in bagno e si fece la tinta.
Non ricordo bene quanto tempo passò, ma compresi che il sesso con lei cominciava a stufarmi. Inizialmente ero intenzionato a lasciarla. Fu solo in seguito che capii che il sesso con lei mi aveva stufato perché avevamo fatto tutto. Quando non hai più stimoli perdi le motivazioni. Fu così che cominciai a cercare nuovi stimoli. Comprai libri illustrati di Kamasutra e facevamo sesso 3 volte al giorno: appena svegli, appena tornati dalla palestra e prima di andare a dormire. Durante la pausa pranzo, a lavoro, eravamo soliti parlare di sesso con i colleghi. Fu quando mi resi conto che non avevo fatto nulla che loro non avessero già provato che pensai a un modo per andare oltre. Fu dopo quel giorno che decisi di mettere la foto di lei nel mio ufficio come avevano già fatto tutti gli altri con le loro persone care. Durante le pause guardavo la sua foto e pensavo ad un modo per andare oltre.  Finché lo trovai. E l’unico rammarico fu quello di non potermene vantare con nessuno.
All’inizio lei non la prese bene; anzi, si può dire che dopo aver appurato che non scherzavo, la cosa la fece arrabbiare. Fu quando mi disse: ‹‹ Ma io sono stata tutto questo tempo con un malato di mente! ››, che le diedi uno schiaffo. Lo schiaffo fu molto più violento di quanto in realtà non volessi. Ottenni l’effetto di farla cadere malamente su un mobile e farla svenire. Fu dopo aver appurato che non avesse subìto alcuna conseguenza fisica che decisi di legarla. Dovetti uscire di casa ed andare di corsa in una ferramenta. Comprai una decina di scotch a ciambella di diverse dimensioni. Tornato a casa mi tolsi i pantaloni e provai ognuno degli scotch comprati sul mio uccello in erezione. Fu quando trovai quello che si addicesse esattamente alla mia misura che poggiai lo scotch sulla sua guancia e ne disegnai la sagoma con un pennarello. Lei cominciava a lacrimare. Per evitare che desse fastidio al mio lavoro, la bendai. Dopo aver tracciato con il pennarello due cerchi esatti della stessa grandezza dello scotch, presi un coltello da cucina e cominciai a tagliuzzare all’altezza della guancia fino ad asportarle delicatamente la carne. Per evitare che si muovesse fui costretto a somministrarle del sonnifero. Fu dopo averla medicata che le strappai i molari e i premolari da entrambi i lati. Dopo aver fatto ciò, lei si decise a capirmi. Disse che avrebbe fatto qualunque cose per me, l’importante era che continuassimo a stare insieme. Non avrebbe sopportato di essere lasciata e disse che desiderava un figlio con lo stesso fuoco negli occhi che aveva quando progettavamo di comprare la Mercedes SLK. Quando mi chiedevano dove fosse la mia ragazza, risposi che eravamo in un periodo di pausa e lei era andata via senza dirmi nulla. ‹‹ Che maleducata! ››, dicevano. Forse avevo bisogno di compassione, per questo non dissi di averla lasciata io. Alla mia ragazza andava bene la situazione: qualunque cosa facessi il giorno, la sera tornavo sempre da lei.
La sera in cui tornai dalla palestra e notai che le ferite si erano cicatrizzare, sorrisi in preda all’eccitazione. Mi calai i pantaloni, la presi per i capelli e gli feci vedere il mio cazzo duro. La tenevo per i capelli e glielo infilai attraverso le fessure delle guance, andando avanti e indietro come un ossesso, come i killer della televisione che accoltellano di continuo la propria vittima. Ma questo non potevo raccontarlo ai miei colleghi di lavoro. Non erano abbastanza coraggiosi da andare oltre. 
Conformisti di merda. 
Ora, ogni volta che la penetravo lei sorrideva con gusto: eravamo una coppia felice e tutto il resto non contava.
Fu dopo pochi giorni che mi stancai e decisi di pensare a qualcosa di nuovo. Intanto, comprai uno stereo per la macchina che chiamai “Bobby”. L’ultimo modello della Sony. Il mio Bobby. Accadde proprio mentre ascoltai una canzone da Bobby, “psycho killer” dei Talking Heads, che mi venne in mente un modo per andare oltre. 
Tornai nella ferramenta e comprai un trapano. Quando fui a casa, dissi ai miei vicini che avrei fatto un po’ di rumore perché stavo facendo alcuni lavori. 
Quando mi chiesero che fine avesse fatto la mia fidanzata, risposi che non ne avevo idea. 
Incomprensioni. 
Le persone spariscono.
Le trapanai le ossa del naso fino a ridurlo a una sola, enorme, narice sanguinolenta. Non ero sicuro che ciò non comportasse conseguenze sul suo fisico: non ho mai studiato medicina. Lei mi disse che non voleva anestetici o sonniferi perché il dolore provocato da me le sarebbe piaciuto, ma sapevo che non avrebbe resistito e glielo somministrai ugualmente.
Quando nei giorni seguenti il naso smise di sanguinare, mi sbottonai i pantaloni Calvin Klein, tirai giù i boxer di Valentino e le infilai il cazzo su per il naso sovrastando, con la mia,  la voce di David Byrne in sottofondo, “Psycho Killer, Qu'est-ce que c'est”. Non so se fosse ancora viva, so soltanto che dopo una decina di minuti depositai la mia roba bianca su per la sua narice. Prima di andare a dormire la guardavo mentre le gocciolava la mia sborra dal naso. 
Se Gericault l’avesse vista, avrebbe trovato l’ispirazione per un quadro. 
Fu proprio questo pensiero che mi fece venire un’idea geniale: riprendere con la telecamera mentre le ficcavo l’uccello su per il naso e mentre glielo sbattevo fuori dalle guance, con i denti rotti e ingialliti che le erano rimasti. Le misi una maschera per far sì che nessuno la riconoscesse; e di me, beh, si poteva scorgere solo l’uccello. Ci misi un po’ per trovare i giusti canali, ma alla fine guadagnai molti soldi. Dopo un mese cominciava a puzzare, non sapevo più cos’altro farle. Non ricordavo nemmeno come si chiamasse. 
Quando, a questo punto, mi chiedevano della “mia ragazza”, rispondevo: ‹‹ È nel mio salotto, sto pensando a come far sparire il suo corpo ››; dopo un iniziale imbarazzo, tutti ridevano accondiscendenti, inneggiando al mio sprezzante senso dell’umorismo.  Ora che ci eravamo lasciati, alcuni dei miei colleghi mi chiesero il numero di quella che era ufficialmente la mia "ex ragazza".
Andai nuovamente nella ferramenta e comprai una motosega. Mi sentivo come in quel film horror degli anni 70, dove c’è quel tizio che fa paura a tutti con la motosega. Tagliai ogni parte del suo corpo, e ogni giorno mettevo un pezzo nella busta dell’immondizia. Se devo essere sincero, non ho mai saputo in quale parte della raccolta differenziata andasse messa.
Dopo un paio di mesi che i miei colleghi non mi vedevano più alle varie cene nei locali, sembrava quasi che mi salutassero a mezza bocca, o almeno questa era la mia impressione. Non avevo una ragazza da un po’ ed ero costretto ad inventarmi avventure sessuali con donne avvenenti, rapporti a tre con donne bisessuali e sesso sfrenato in luoghi pubblici con ragazze appena maggiorenni. Nei centri commerciali non è la stessa cosa andare soli.  Avete mai visto un single all'Ikea?
Mi sentivo emarginato. 
Fu per questo che tornai nello stesso locale in cui conobbi quella che sarà la mia futura ragazza. Al tavolo 7 c’è una  ragazza alta, riccia e mora che mi guarda. Mi alzo e vado verso di lei pensando a come starebbe bene il mio uccello nelle sue fessure vuote dove ora ci sono gli occhi verdi ed intensi. 
Sono di nuovo dentro. Mi sento vivo.

sabato 19 novembre 2011

L'a mor(t)e

Aveva zampe sottili. Era debole, e per questo nessuno lo apprezzava. Non ha mai avuto un nome, né si era mai posto domande esistenziali. Essendo debole mai nessuno si curò di lui: la seduzione è roba per esseri forti.
Se fosse stato l'attore di un film, un cinefilo lo avrebbe paragonato a quei personaggi che muoiono subito e per i quali lo spettatore non prova empatia. Non avrebbe voluto morire da protagonista e provocare sentimenti infausti nei cuori di chi lo osservava, ma solo continuare a vivere. Non sapeva cosa fosse l'amore: nessuno glielo aveva mai spiegato. O forse nessuno lo aveva mai saputo.
La sua unica colpa fu quella di esser stato programmato dalla natura per succhiare sangue, ma non era un vampiro. Loro sono immortali, lui non lo era. La sua sfortuna fu quella di finire spiaccicato su un muro per mano di un Dio indifferente.
Per lui nessuna lapide.

venerdì 28 ottobre 2011

Un buco nel cervello

Sento gli echi di un fragore.
No, non è il cuore.

Sento dolore.
No, non è amore.

Presagisco violenza, forse è dipendenza.
È di un grigio incolore: fa tendenza. 

Attimi di vita, frammenti di morte; luce spenta fa rumore nel chiarore della notte.

Ora turbine e tempesta fan festa.

Tranquilli: è tutto nella mia testa.

martedì 20 settembre 2011

esperImento dAdaistA

.amorale sensazione di alienazione
                                    israinartse
                                         da
                                             un
tiepido
                                  nulla

venerdì 26 agosto 2011

Malorte



Prologo

La pista di atletica è il luogo dove avvengono i rapporti interpersonali. È un continuo seguire e farsi rincorrere. Siamo stimolati ad andare più svelti soltanto se chi inseguiamo è capace di distanziarci in maniera considerevole.

Non necessariamente un inizio

Ho messo l’annuncio dopo averci pensato per giorni. Sono emozionato e determinato. Suono al citofono e dico la parola in codice: ‹‹ Malorte ››. Sulle scale incontro una donna che guarda con sospetto la valigia, tengo lo sguardo basso e proseguo oltre. La porta è aperta e io entro.

Tutto iniziò meno di un mese fa. Mi guardavo allo specchio senza vedermi. Evitavo ogni discussione. La sera dormivo presto. La mattina andavo a lavoro.  Quando le persone mi auguravano il buongiorno, rispondevo così: ‹‹ Il nostro giorno sarà uguale a quello di ieri ››. Ogni giorno si susseguiva ed era uguale al precedente: le stesse persone sulla metro, le stesse abitudini, lo stesso buongiorno, la stessa donna e potrei continuare all’infinito. Infatti, la frase precedente non l’ho mai detta, l’ho solo pensata ogni mattina.
Prima di addormentarmi, riflettevo. Volevo prendere un giorno di ferie e andarmene da qualche parte, ma la mattina dopo mi svegliavo ed andavo a lavoro. Il week end la mia donna voleva andare fuori. Cambia il contesto non cambia il rapporto. Le chiesi: ‹‹ Secondo te, perché stiamo insieme? ››, ‹‹ Non mi ami più? ››,  rispose. Ogni donna ha provato a cambiarmi. Sei poco sicuro di te. Mi ami poco. Non hai mai fatto nulla per me. Mi ami troppo. Con lei ci stavo bene perché non voleva cambiarmi. Le piacevo così. O aveva paura di un mio cambiamento negativo? O forse...? Ho sempre preferito non chiederglielo.
Pochi giorni dopo passai una serata con i miei vecchi amici.  ‹‹ Come va il lavoro? Scopi sempre con la stessa donna? Te l’ha dato il culo? Avete intenzione di sposarvi? Di fare figli? Vista la partita ieri? ››. Si va a cena fuori, stesso posto da anni. ‹‹ Andiamo a fare un giro in centro? ››, ‹‹ No, dobbiamo tornare a casa presto, sai il lavoro, la donna che poi si preoccupa, i figli ››.
Già, i figli. Il modo che abbiamo per ottenere una parvenza di immortalità.
Nella pausa pranzo, a lavoro, Ian Curtis ripete “don’t talk away” dagli altoparlanti e nessuno lo ascolta. Un pagliaccio mi passa davanti con fare greve, come se la sua pancia fosse un peso troppo grande da sopportare. Guardo le notizie su internet e l’occhio mi cade su una donna che ha messo all’asta la sua figa. O meglio: la sua verginità. La donna, una fotomodella o qualcosa del genere, sta trattando con uno sceicco arabo. Quando gli uomini la guardano, i loro occhi diventano seni, i loro nasi diventano un ombelico e la bocca una pelosa vagina. È stato lì, per la prima volta, che mi è venuta l’idea.

Apro la porta e saluto, l’uomo mi sorride con benevolenza è un pars lateralis simile a quello di un prete dopo aver eseguito una confessione e mi fa accomodare sul divano. Gli mostro la valigia, ma lui dice che si fida. Mi chiede se sono sicuro e gli rispondo che non sono mai stato così convinto di una cosa in vita mia.

Tornando a casa da lavoro osservo le persone in metro.
La mia donna non c’è e rimango solo davanti al pc. Digito la parola Annunci su Google. Non trovo nulla di ciò che cerco.  La sera esco, mi sento osservato. Faccio l’intero raccordo anulare scrutando il cielo, le macchine ed i riflessi. Non ho alcuna meta.
Alla mia donna dico che sono uscito con un amico, non mi interessa se mi crede. Mi faccio una sega davanti a lei mentre mi racconta la sua giornata.

 ‹‹ Pensi mai alla morte? ››. Attacco il discorso senza una sigaretta in bocca per sembrare più figo.
‹‹ E tu pensi mai alla vita?  ›› mi risponde.
‹‹ Se la vita è composta da una sequenza che si ripete, che differenza c’è con la morte? ››
‹‹ La colpa è tua se è così ››
‹‹ Che ci posso fare… ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e va via.

Forse, una fine

Il sabato sera le persone vanno in discoteca. Esigono il rumore: serve a non pensare. Io desidero il silenzio.
Ho scavalcato il cancello del cimitero. Il giorno è troppo affollato. Cammino tra le tombe e guardo le foto delle persone. Nel cimitero vedo ombre propagarsi a dismisura sulle pareti di cemento. Compresa un’ombra di qualcun altro. Mi giro e sento il rumore di passi svelti. Mi avvicino e trovo un biglietto da visita con su scritto “Malorte. Tu hai bisogno di me”. Qualcuno mi segue. Chi e soprattutto perché? Cosa significa Malorte?
A lavoro comincio ad essere sospettoso e guardare fisso i colleghi per cercare di notare qualcosa di strano. Ho la sensazione che i miei pensieri e le mie parole siano di qualcun altro, e sento di essere spiato. Il capo viene a prendere i progetti e li porta di là, oltre la porta in cui lavorano i geni dell’azienda, oltre la porta che nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di aprire, ma che quando si apre tutti provano a sbirciare non riuscendo a cogliere nulla. È lì che finisce tutto ciò che produciamo.
Ho scritto Malorte su Google. I risultati non sono incoraggianti.
La sera torno al cimitero e mi siedo sul prato in attesa di qualcuno. ‹‹ Malorteee! ››, urlo. Silenzio; poi, dal buio, esce fuori una figura scomposta. ‹‹ Sono qui ››, risponde. Ha la testa leggermente piegata e i capelli ricci che sanno di sporco, gli occhiali con lenti a forma rettangolare, il naso all’insù e un maglione grigio su jeans sgualciti.
‹‹ Cosa vuoi da me?  ››
‹‹ Io non desidero nulla ››
‹‹ Perchè mi segui allora? ››
‹‹ Non ti ho mai seguito ››
‹‹ Mi prendi per il culo? ››
‹‹ Io non so mentire. Ti ho visto spesso, la sera, al cimitero ››
‹‹ Ho avuto la sensazione di essere seguito ››
‹‹ Non ero io ››
‹‹ Ok, non eri tu. Allora cosa vuoi da me? ››
‹‹ Non mi piace ripetermi ››
‹‹ Ok, cambio la domanda. Perché avrei bisogno di te? ››
‹‹ Me lo stai chiedendo sul serio? ››
‹‹ Puoi essere più specifico ››
‹‹ Hai decisamente bisogno del mio aiuto ››
Approfittando di un mio attimo di distrazione, Malorte scompare nel buio che lo aveva partorito.

L’ultimo arrivato a lavoro ha le gambe incrociate sul tavolo e le braccia dietro la nuca,  mi guarda fisso con il sorriso stampato sulla bocca. Cerco di ignorarlo. È qui da meno di due mesi ed è già tre livelli sopra di me. Il capo arriva e gli fa i complimenti in pubblico, dice che dobbiamo prendere esempio da lui. Lui ha accesso alla porta misteriosa. Lui.
Cammino solo, di notte. Penso che vorrei trovarmi dall’altra parte del mondo; poi ci penso meglio e no, non vorrei trovarmi dall’altra parte del mondo. In strada vedo Franz Kafka seduto vicino a un falò. Mi guarda senza emettere alcuna emozione. Mi avvicino con le mani distese sui fianchi. Non parliamo. Provo ad alzare l’indice e dire qualcosa, ma non parlo. Intanto, piovono pietre.
Vado ad una mostra sul futurismo. Non mi piacciono questi quadri. Non mi piacciono questi colori. Preferisco gli impressionisti.
Faccio la fila alla posta per circa un’ora. Tutti sudano, puzzano e sono stanchi. Appena arrivo allo sportello, corro via.
A lavoro il nuovo arrivato non mi stacca gli occhi di dosso. Ride.
Stanotte ho fatto sesso con la mia donna. A lei piace chiamarlo "l'amore". È stato come guardare le lancette di un orologio illudersi di ammaestrare il tempo.
‹‹ Penso che dovremmo lasciarci ››, parla a mezza bocca la mia donna.
‹‹ Va bene ››, le rispondo.
Una settimana dopo stiamo ancora insieme.

‹‹ Cercati un altro lavoro ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
‹‹ Ora funziona? ››
‹‹ Cercati un’altra donna ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e va via.

Torno al cimitero.
‹‹ Malorteee! ››
‹‹ Ci sei arrivato, finalmente ››
‹‹ Domani alle 18 ››
‹‹ Possiamo farlo anche subito ››
‹‹ No, prima devo fare una cosa ››

Sono a lavoro, ma quando non c’è nessuno: di notte. L’ufficio è vuoto. Non mi curo del rumore perché il luogo è isolato e i guardiani non sono dove dovrebbero. Scaglio con poco vigore l’ascia antincendio sulla porta misteriosa; poi lo faccio con maggior convinzione, fino a sfondarla del tutto. Finalmente so cosa c’è dietro questa porta.

‹‹ Sdraiati sul letto ››, mi ordina con fermezza Malorte. Questo è il suo nickname. L’ho conosciuto tramite annuncio. “Vendo la mia vita”, scrissi. Malorte si dimostrò interessato. Casualmente ci siamo conosciuti di persona al cimitero. Mi ha dato tempo per pensarci, non posso lamentarmi.
‹‹ A chi lasci i tuoi soldi? ››
‹‹ Metà al gatto, l’altra metà a te, come pattuito ››
‹‹ Mi fidavo. Ero solo curioso di sapere a chi avresti lasciato gli altri. Toglimi una curiosità: cosa c’era dietro la porta? ››
‹‹ Nulla ››


Un nuovo inizio

Malorte mangia le mie carni, cucina le mie mani a fuoco lento e mi racconta di quanto le dita siano gustose, soprattutto quelle sottili. Gli consiglio di non usare ketchup o salse, lui mi dice di stare tranquillo. Mentre cucina, gli racconto la storia di un pollo che è vissuto senza testa per un anno; poi gli dico di mangiarmi con calma. Lui sorride mostrando comprensione e si lecca le dita. Erano anni che non mi sentivo così felice!