venerdì 26 agosto 2011

Malorte



Prologo

La pista di atletica è il luogo dove avvengono i rapporti interpersonali. È un continuo seguire e farsi rincorrere. Siamo stimolati ad andare più svelti soltanto se chi inseguiamo è capace di distanziarci in maniera considerevole.

Non necessariamente un inizio

Ho messo l’annuncio dopo averci pensato per giorni. Sono emozionato e determinato. Suono al citofono e dico la parola in codice: ‹‹ Malorte ››. Sulle scale incontro una donna che guarda con sospetto la valigia, tengo lo sguardo basso e proseguo oltre. La porta è aperta e io entro.

Tutto iniziò meno di un mese fa. Mi guardavo allo specchio senza vedermi. Evitavo ogni discussione. La sera dormivo presto. La mattina andavo a lavoro.  Quando le persone mi auguravano il buongiorno, rispondevo così: ‹‹ Il nostro giorno sarà uguale a quello di ieri ››. Ogni giorno si susseguiva ed era uguale al precedente: le stesse persone sulla metro, le stesse abitudini, lo stesso buongiorno, la stessa donna e potrei continuare all’infinito. Infatti, la frase precedente non l’ho mai detta, l’ho solo pensata ogni mattina.
Prima di addormentarmi, riflettevo. Volevo prendere un giorno di ferie e andarmene da qualche parte, ma la mattina dopo mi svegliavo ed andavo a lavoro. Il week end la mia donna voleva andare fuori. Cambia il contesto non cambia il rapporto. Le chiesi: ‹‹ Secondo te, perché stiamo insieme? ››, ‹‹ Non mi ami più? ››,  rispose. Ogni donna ha provato a cambiarmi. Sei poco sicuro di te. Mi ami poco. Non hai mai fatto nulla per me. Mi ami troppo. Con lei ci stavo bene perché non voleva cambiarmi. Le piacevo così. O aveva paura di un mio cambiamento negativo? O forse...? Ho sempre preferito non chiederglielo.
Pochi giorni dopo passai una serata con i miei vecchi amici.  ‹‹ Come va il lavoro? Scopi sempre con la stessa donna? Te l’ha dato il culo? Avete intenzione di sposarvi? Di fare figli? Vista la partita ieri? ››. Si va a cena fuori, stesso posto da anni. ‹‹ Andiamo a fare un giro in centro? ››, ‹‹ No, dobbiamo tornare a casa presto, sai il lavoro, la donna che poi si preoccupa, i figli ››.
Già, i figli. Il modo che abbiamo per ottenere una parvenza di immortalità.
Nella pausa pranzo, a lavoro, Ian Curtis ripete “don’t talk away” dagli altoparlanti e nessuno lo ascolta. Un pagliaccio mi passa davanti con fare greve, come se la sua pancia fosse un peso troppo grande da sopportare. Guardo le notizie su internet e l’occhio mi cade su una donna che ha messo all’asta la sua figa. O meglio: la sua verginità. La donna, una fotomodella o qualcosa del genere, sta trattando con uno sceicco arabo. Quando gli uomini la guardano, i loro occhi diventano seni, i loro nasi diventano un ombelico e la bocca una pelosa vagina. È stato lì, per la prima volta, che mi è venuta l’idea.

Apro la porta e saluto, l’uomo mi sorride con benevolenza è un pars lateralis simile a quello di un prete dopo aver eseguito una confessione e mi fa accomodare sul divano. Gli mostro la valigia, ma lui dice che si fida. Mi chiede se sono sicuro e gli rispondo che non sono mai stato così convinto di una cosa in vita mia.

Tornando a casa da lavoro osservo le persone in metro.
La mia donna non c’è e rimango solo davanti al pc. Digito la parola Annunci su Google. Non trovo nulla di ciò che cerco.  La sera esco, mi sento osservato. Faccio l’intero raccordo anulare scrutando il cielo, le macchine ed i riflessi. Non ho alcuna meta.
Alla mia donna dico che sono uscito con un amico, non mi interessa se mi crede. Mi faccio una sega davanti a lei mentre mi racconta la sua giornata.

 ‹‹ Pensi mai alla morte? ››. Attacco il discorso senza una sigaretta in bocca per sembrare più figo.
‹‹ E tu pensi mai alla vita?  ›› mi risponde.
‹‹ Se la vita è composta da una sequenza che si ripete, che differenza c’è con la morte? ››
‹‹ La colpa è tua se è così ››
‹‹ Che ci posso fare… ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e va via.

Forse, una fine

Il sabato sera le persone vanno in discoteca. Esigono il rumore: serve a non pensare. Io desidero il silenzio.
Ho scavalcato il cancello del cimitero. Il giorno è troppo affollato. Cammino tra le tombe e guardo le foto delle persone. Nel cimitero vedo ombre propagarsi a dismisura sulle pareti di cemento. Compresa un’ombra di qualcun altro. Mi giro e sento il rumore di passi svelti. Mi avvicino e trovo un biglietto da visita con su scritto “Malorte. Tu hai bisogno di me”. Qualcuno mi segue. Chi e soprattutto perché? Cosa significa Malorte?
A lavoro comincio ad essere sospettoso e guardare fisso i colleghi per cercare di notare qualcosa di strano. Ho la sensazione che i miei pensieri e le mie parole siano di qualcun altro, e sento di essere spiato. Il capo viene a prendere i progetti e li porta di là, oltre la porta in cui lavorano i geni dell’azienda, oltre la porta che nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di aprire, ma che quando si apre tutti provano a sbirciare non riuscendo a cogliere nulla. È lì che finisce tutto ciò che produciamo.
Ho scritto Malorte su Google. I risultati non sono incoraggianti.
La sera torno al cimitero e mi siedo sul prato in attesa di qualcuno. ‹‹ Malorteee! ››, urlo. Silenzio; poi, dal buio, esce fuori una figura scomposta. ‹‹ Sono qui ››, risponde. Ha la testa leggermente piegata e i capelli ricci che sanno di sporco, gli occhiali con lenti a forma rettangolare, il naso all’insù e un maglione grigio su jeans sgualciti.
‹‹ Cosa vuoi da me?  ››
‹‹ Io non desidero nulla ››
‹‹ Perchè mi segui allora? ››
‹‹ Non ti ho mai seguito ››
‹‹ Mi prendi per il culo? ››
‹‹ Io non so mentire. Ti ho visto spesso, la sera, al cimitero ››
‹‹ Ho avuto la sensazione di essere seguito ››
‹‹ Non ero io ››
‹‹ Ok, non eri tu. Allora cosa vuoi da me? ››
‹‹ Non mi piace ripetermi ››
‹‹ Ok, cambio la domanda. Perché avrei bisogno di te? ››
‹‹ Me lo stai chiedendo sul serio? ››
‹‹ Puoi essere più specifico ››
‹‹ Hai decisamente bisogno del mio aiuto ››
Approfittando di un mio attimo di distrazione, Malorte scompare nel buio che lo aveva partorito.

L’ultimo arrivato a lavoro ha le gambe incrociate sul tavolo e le braccia dietro la nuca,  mi guarda fisso con il sorriso stampato sulla bocca. Cerco di ignorarlo. È qui da meno di due mesi ed è già tre livelli sopra di me. Il capo arriva e gli fa i complimenti in pubblico, dice che dobbiamo prendere esempio da lui. Lui ha accesso alla porta misteriosa. Lui.
Cammino solo, di notte. Penso che vorrei trovarmi dall’altra parte del mondo; poi ci penso meglio e no, non vorrei trovarmi dall’altra parte del mondo. In strada vedo Franz Kafka seduto vicino a un falò. Mi guarda senza emettere alcuna emozione. Mi avvicino con le mani distese sui fianchi. Non parliamo. Provo ad alzare l’indice e dire qualcosa, ma non parlo. Intanto, piovono pietre.
Vado ad una mostra sul futurismo. Non mi piacciono questi quadri. Non mi piacciono questi colori. Preferisco gli impressionisti.
Faccio la fila alla posta per circa un’ora. Tutti sudano, puzzano e sono stanchi. Appena arrivo allo sportello, corro via.
A lavoro il nuovo arrivato non mi stacca gli occhi di dosso. Ride.
Stanotte ho fatto sesso con la mia donna. A lei piace chiamarlo "l'amore". È stato come guardare le lancette di un orologio illudersi di ammaestrare il tempo.
‹‹ Penso che dovremmo lasciarci ››, parla a mezza bocca la mia donna.
‹‹ Va bene ››, le rispondo.
Una settimana dopo stiamo ancora insieme.

‹‹ Cercati un altro lavoro ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
‹‹ Ora funziona? ››
‹‹ Cercati un’altra donna ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e va via.

Torno al cimitero.
‹‹ Malorteee! ››
‹‹ Ci sei arrivato, finalmente ››
‹‹ Domani alle 18 ››
‹‹ Possiamo farlo anche subito ››
‹‹ No, prima devo fare una cosa ››

Sono a lavoro, ma quando non c’è nessuno: di notte. L’ufficio è vuoto. Non mi curo del rumore perché il luogo è isolato e i guardiani non sono dove dovrebbero. Scaglio con poco vigore l’ascia antincendio sulla porta misteriosa; poi lo faccio con maggior convinzione, fino a sfondarla del tutto. Finalmente so cosa c’è dietro questa porta.

‹‹ Sdraiati sul letto ››, mi ordina con fermezza Malorte. Questo è il suo nickname. L’ho conosciuto tramite annuncio. “Vendo la mia vita”, scrissi. Malorte si dimostrò interessato. Casualmente ci siamo conosciuti di persona al cimitero. Mi ha dato tempo per pensarci, non posso lamentarmi.
‹‹ A chi lasci i tuoi soldi? ››
‹‹ Metà al gatto, l’altra metà a te, come pattuito ››
‹‹ Mi fidavo. Ero solo curioso di sapere a chi avresti lasciato gli altri. Toglimi una curiosità: cosa c’era dietro la porta? ››
‹‹ Nulla ››


Un nuovo inizio

Malorte mangia le mie carni, cucina le mie mani a fuoco lento e mi racconta di quanto le dita siano gustose, soprattutto quelle sottili. Gli consiglio di non usare ketchup o salse, lui mi dice di stare tranquillo. Mentre cucina, gli racconto la storia di un pollo che è vissuto senza testa per un anno; poi gli dico di mangiarmi con calma. Lui sorride mostrando comprensione e si lecca le dita. Erano anni che non mi sentivo così felice!

giovedì 18 agosto 2011

La storia di Spazio


4 - Mi chiamo Spazio, ho 37 anni e vedo gente. Sono chiuso in una stanza, rannicchiato. 
Vedo gente.
Nella mia stanza scrivo. Nella mia stanza rido. Nella mia stanza piango.
Mi chiamo Spazio, ho 37 anni e il mio regista preferito è Polanski.
Vedo gente, sono costretto.
Entra gente nella mia stanza, mi guardano, si avvicinano, li saluto.
Leggo nei loro sguardi una sottile pietà. Pietà e terrore di avere in futuro un figlio come me.
Preferisco la gente che vedo dalla finestra, che non mi guarda.
Ho 37 anni, mi chiamo Spazio. 
Nella mia stanza esisto.
Il mondo mi incuriosisce.


2 - Mi chiamo Spazio, ho 37 anni, e la notte ho paura.

5 - Il mio scrittore preferito  non posso dirvelo.
Mi chiamo Spazio e a 27 anni appartenevo al mondo, ero parte della commedia. Ero parte della tragedia.
Mi chiamo spazio e non so se ho un cuore. Mi chiamo Spazio e la gente entra nella mia stanza per salutarmi. 
Ampi sorrisi. Finti.
Il mio regista preferito è Polanski.
Mi chiamo Spazio e sono stato come voi.
Ero un essere umano, ora sono un ragno.
Il mio lettore preferito non posso dirvelo.
Sto rannicchiato, la mattina mi portano da mangiare.

6 - Mi chiamo Spazio, mangio e dormo.
Nel pomeriggio scrivo poesie per qualcuno, apro le tende della finestra.
Forse voglio uscire.



1 - Mi rannicchio in un angolo. Mi rannicchio nell’armadio.
Sono sposato con la musica.
La gente entra e io non ci sono. Dicono che non ci sono; lo fanno da un po’ di tempo, da quando hanno capito che i sorrisi sono finti anche per loro. 
Nessuno chiede più di Spazio.
Io non voglio uscire.

3 - Mi chiamo Spazio e sono un ragno, ho otto zampe e non parlo.
Il mio regista preferito è Polanski.
A 30 anni ero come voi. Avevo una macchina e una donna, forse un cuore simile al vostro.


0 - Mi chiamo Spazio.
Lascio una lettera a nessun destinatario.
Poi attraverso la finestra.
Non ricordo precisamente il mio nome, ma credo di avere dei vetri conficcati nel collo. Le zampe non si muovono. Un liquido colorato esce dal mio corpo.

-1 - Mi chiamavo Spazio e sono stato un uomo e un ragno. Prima di essere me sono stato voi. Ma voi avete creato me. Così volevate che finisse, ora mi accettate.
Abitavo al terzo piano e scrivevo poesie per me stesso.