Prologo
La pista di atletica è il luogo dove avvengono i
rapporti interpersonali. È un continuo seguire e farsi rincorrere. Siamo stimolati ad
andare più svelti soltanto se chi inseguiamo è capace di distanziarci in
maniera considerevole.
Non necessariamente
un inizio
Ho messo l’annuncio dopo averci pensato per giorni. Sono emozionato e determinato.
Suono al citofono e dico la parola in codice: ‹‹ Malorte ››. Sulle scale incontro
una donna che guarda con sospetto la valigia, tengo lo sguardo basso e proseguo
oltre. La porta è aperta e io entro.
Tutto iniziò meno di un mese fa. Mi guardavo allo specchio senza vedermi. Evitavo ogni discussione. La sera dormivo presto. La mattina andavo a lavoro. Quando le persone mi auguravano il
buongiorno, rispondevo così: ‹‹ Il nostro giorno sarà uguale a
quello di ieri ››. Ogni giorno si
susseguiva ed era uguale al precedente: le stesse
persone sulla metro, le stesse abitudini, lo stesso buongiorno, la stessa
donna e potrei continuare all’infinito. Infatti, la frase precedente non l’ho mai detta, l’ho solo pensata ogni mattina.
Prima di addormentarmi, riflettevo. Volevo prendere un giorno di
ferie e andarmene da qualche parte, ma la mattina dopo mi svegliavo ed andavo a
lavoro. Il week end la mia donna voleva andare fuori. Cambia il contesto non
cambia il rapporto. Le chiesi: ‹‹ Secondo te, perché stiamo insieme? ››, ‹‹ Non mi ami più? ››, rispose. Ogni donna ha provato a cambiarmi.
Sei poco sicuro di te. Mi ami poco. Non hai mai fatto nulla per
me. Mi ami troppo. Con lei ci stavo bene perché non voleva cambiarmi. Le piacevo così. O aveva
paura di un mio cambiamento negativo? O forse...? Ho sempre preferito non chiederglielo.
Pochi giorni dopo passai una serata con i miei
vecchi amici. ‹‹ Come va il lavoro? Scopi sempre con la stessa donna? Te l’ha dato il culo? Avete intenzione di sposarvi? Di fare figli? Vista la
partita ieri? ››. Si va a cena fuori, stesso posto da anni. ‹‹ Andiamo a fare
un giro in centro? ››, ‹‹ No, dobbiamo tornare a casa presto, sai il lavoro, la
donna che poi si preoccupa, i figli ››.
Già, i figli. Il modo che abbiamo per ottenere una parvenza di immortalità.
Nella pausa pranzo, a lavoro, Ian Curtis ripete
“don’t talk away” dagli altoparlanti e nessuno lo ascolta. Un pagliaccio mi
passa davanti con fare greve, come se la sua pancia fosse un peso troppo grande
da sopportare. Guardo le notizie su internet e l’occhio mi cade su una donna
che ha messo all’asta la sua figa. O meglio: la sua verginità. La donna, una
fotomodella o qualcosa del genere, sta trattando con uno sceicco arabo. Quando
gli uomini la guardano, i loro occhi diventano seni, i loro nasi diventano un
ombelico e la bocca una pelosa vagina. È stato lì, per la prima volta, che mi è venuta l’idea.
Apro la porta e saluto, l’uomo mi sorride con
benevolenza – è un pars
lateralis simile a quello di un prete dopo aver eseguito una confessione – e mi fa accomodare sul divano. Gli mostro la
valigia, ma lui dice che si fida. Mi chiede se sono sicuro e gli rispondo che
non sono mai stato così convinto di una cosa in vita mia.
Tornando a casa da lavoro osservo le persone in
metro.
La mia donna non c’è e rimango solo davanti al pc. Digito la parola Annunci su Google. Non trovo nulla di ciò che cerco. La sera esco, mi sento osservato. Faccio l’intero raccordo anulare scrutando il cielo, le macchine ed i riflessi. Non ho alcuna meta.
La mia donna non c’è e rimango solo davanti al pc. Digito la parola Annunci su Google. Non trovo nulla di ciò che cerco. La sera esco, mi sento osservato. Faccio l’intero raccordo anulare scrutando il cielo, le macchine ed i riflessi. Non ho alcuna meta.
Alla mia donna dico che sono uscito con un
amico, non mi interessa se mi crede. Mi faccio una sega davanti a lei mentre mi
racconta la sua giornata.
‹‹ Pensi
mai alla morte? ››. Attacco il discorso senza una sigaretta in bocca per
sembrare più figo.
‹‹ E tu pensi mai alla vita? ›› mi risponde.
‹‹ Se la vita è composta da una sequenza che si ripete,
che differenza c’è con la morte? ››
‹‹ La colpa è tua se è così ››
‹‹ Che ci posso fare… ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e
va via.
Forse, una fine
Il sabato sera le persone vanno in discoteca. Esigono il rumore: serve a non pensare. Io desidero il silenzio.
Ho scavalcato il cancello del cimitero. Il giorno è troppo affollato. Cammino tra le tombe e guardo le foto delle persone. Nel cimitero vedo ombre propagarsi a dismisura sulle pareti di cemento. Compresa un’ombra di qualcun altro. Mi giro e sento il rumore di passi svelti. Mi avvicino e trovo un biglietto da visita con su scritto “Malorte. Tu hai bisogno di me”. Qualcuno mi segue. Chi e soprattutto perché? Cosa significa Malorte?
Ho scavalcato il cancello del cimitero. Il giorno è troppo affollato. Cammino tra le tombe e guardo le foto delle persone. Nel cimitero vedo ombre propagarsi a dismisura sulle pareti di cemento. Compresa un’ombra di qualcun altro. Mi giro e sento il rumore di passi svelti. Mi avvicino e trovo un biglietto da visita con su scritto “Malorte. Tu hai bisogno di me”. Qualcuno mi segue. Chi e soprattutto perché? Cosa significa Malorte?
A lavoro comincio ad essere sospettoso e guardare
fisso i colleghi per cercare di notare qualcosa di strano. Ho la sensazione che i
miei pensieri e le mie parole siano di qualcun altro, e sento di essere spiato. Il capo viene a prendere i progetti e li porta
di là, oltre la porta in cui lavorano i geni dell’azienda, oltre la porta che nessuno
di noi ha mai avuto il coraggio di aprire, ma che quando si apre tutti provano
a sbirciare non riuscendo a cogliere nulla. È lì che finisce tutto ciò che
produciamo.
Ho scritto Malorte su Google. I risultati non sono
incoraggianti.
La sera torno al cimitero e mi siedo sul
prato in attesa di qualcuno. ‹‹ Malorteee! ››, urlo. Silenzio; poi, dal buio, esce fuori una figura scomposta. ‹‹ Sono qui ››, risponde. Ha la testa leggermente
piegata e i capelli ricci che sanno di sporco, gli occhiali con lenti a
forma rettangolare, il naso all’insù e un maglione grigio su jeans sgualciti.
‹‹ Cosa vuoi da me?
››
‹‹ Io non desidero nulla ››
‹‹ Perchè mi segui allora? ››
‹‹ Non ti ho mai seguito ››
‹‹ Mi prendi per il culo? ››
‹‹ Io non so mentire. Ti ho visto spesso, la sera, al
cimitero ››
‹‹ Ho avuto la sensazione di essere seguito ››
‹‹ Non ero io ››
‹‹ Ok, non eri tu. Allora cosa vuoi da me? ››
‹‹ Non mi piace ripetermi ››
‹‹ Ok, cambio la domanda. Perché avrei bisogno di
te? ››
‹‹ Me lo stai chiedendo sul serio? ››
‹‹ Puoi essere più specifico ››
‹‹ Hai decisamente bisogno del mio aiuto ››
Approfittando di un mio attimo di distrazione,
Malorte scompare nel buio che lo aveva partorito.
L’ultimo arrivato a lavoro ha le gambe incrociate
sul tavolo e le braccia dietro la nuca,
mi guarda fisso con il sorriso stampato sulla bocca. Cerco di ignorarlo.
È qui da meno di due mesi ed è già tre livelli sopra di me. Il capo arriva e
gli fa i complimenti in pubblico, dice che dobbiamo prendere esempio da lui.
Lui ha accesso alla porta misteriosa. Lui.
Cammino solo, di notte. Penso che vorrei trovarmi
dall’altra parte del mondo; poi ci penso meglio e no, non vorrei trovarmi
dall’altra parte del mondo. In strada vedo Franz Kafka seduto
vicino a un falò. Mi guarda senza emettere alcuna emozione. Mi avvicino con
le mani distese sui fianchi. Non parliamo. Provo ad alzare l’indice e dire qualcosa, ma non parlo. Intanto, piovono pietre.
Vado ad una mostra sul futurismo. Non mi piacciono
questi quadri. Non mi piacciono questi colori. Preferisco gli impressionisti.
Faccio la fila alla posta per circa un’ora. Tutti
sudano, puzzano e sono stanchi. Appena arrivo allo sportello, corro via.
A lavoro il nuovo arrivato non mi stacca gli occhi
di dosso. Ride.
Stanotte ho fatto sesso con la mia donna. A lei piace chiamarlo "l'amore". È stato
come guardare le lancette di un orologio illudersi di ammaestrare il tempo.
‹‹ Penso che dovremmo lasciarci ››, parla a mezza
bocca la mia donna.
‹‹ Va bene ››, le rispondo.
Una settimana dopo stiamo ancora insieme.
‹‹ Cercati un altro lavoro ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
‹‹ Ora funziona? ››
‹‹ Cercati un’altra donna ››
‹‹ Non funzionerebbe ››
Dopo questa mia affermazione il gatto nero prende e
va via.
Torno al cimitero.
‹‹ Malorteee! ››
‹‹ Ci sei arrivato, finalmente ››
‹‹ Domani alle 18 ››
‹‹ Possiamo farlo anche subito ››
‹‹ No, prima devo fare una cosa ››
Sono a lavoro, ma quando non c’è nessuno: di notte.
L’ufficio è vuoto. Non mi curo del rumore perché il luogo è isolato e i
guardiani non sono dove dovrebbero. Scaglio con poco vigore l’ascia
antincendio sulla porta misteriosa; poi lo faccio con maggior convinzione, fino
a sfondarla del tutto. Finalmente so cosa c’è dietro questa porta.
‹‹ Sdraiati sul letto ››, mi ordina con fermezza
Malorte. Questo è il suo nickname. L’ho conosciuto tramite annuncio.
“Vendo la mia vita”, scrissi. Malorte si dimostrò
interessato. Casualmente ci siamo conosciuti di persona al cimitero. Mi ha dato tempo per pensarci, non posso lamentarmi.
‹‹ A chi lasci i tuoi soldi? ››
‹‹ Metà al gatto, l’altra metà a te, come
pattuito ››
‹‹ Mi fidavo. Ero solo curioso di sapere a chi
avresti lasciato gli altri. Toglimi una curiosità: cosa c’era dietro la
porta? ››
‹‹ Nulla ››
Un nuovo inizio
Malorte mangia le mie carni, cucina le mie mani a
fuoco lento e mi racconta di quanto le dita siano gustose, soprattutto quelle sottili. Gli
consiglio di non usare ketchup o salse, lui mi dice di stare
tranquillo. Mentre cucina, gli racconto la storia di un pollo che è vissuto senza testa per
un anno; poi gli dico di mangiarmi con calma. Lui sorride mostrando comprensione e si lecca le dita. Erano anni che non mi sentivo così felice!